La tragedia dell'Airbus








Ora che la scatola nera ha portato gli inquirenti a comprendere quanto possa essere accaduto nella cabina, quindi niente guasti o portelloni difettosi, come si pensava in riferimento ai vari problemi tecnici che l'aeromobile aveva patito nel corso dei lunghi anni di servizio, la tragedia dell'Airbus è divenuta ancor più inquietante.
Il co-pilota Lubitz è chiaramente indicato come il responsabile del disastro, in una scena davvero da film dell’orrore, con il comandante che tenta di sfondare la porta della cabina con l’ascia mentre l’aereo inizia la discesa per poi schiantarsi tra le montagne.
Immagino il drammatico sconcerto dei vertici della Lufthansa, degni rappresentanti del mito della razionalità e della tecnica con cui identifichiamo tutti noi i tedeschi.
Un giovane pilota tedesco, preparato ed abilitato a volare, certificato anche dagli USA, senza mai dire una parola e con la respirazione normale (così ci dicono gli inquirenti) ha fatto scendere l’Airbus con 150 persone a bordo tra le montagne con l’inevitabile tragico finale.
Per fare una cosa del genere Lubitz doveva essere depresso (ovviamente) lasciato dalla fidanzata (ovviamente), assumere psicofarmaci (ovviamente) e chissà cosa altro nasconde (ovviamente), anche se ora la Polizia tedesca passerà al setaccio tutta la sua vita.
Gli “ovviamente” sono la classica reazione delle persone a fatti del genere, incomprensibili, tragici e destabilizzanti psicologicamente.
Ma la psicoanalisi da oltre un secolo ci ricorda una scomoda verità, noi non sappiamo chi siamo davvero, siamo capaci di opere ed azioni eroiche, veri atti di amore ma, al contempo, anche in grado di odiare, distruggere ed uccidere noi stessi e gli altri… Un mio professore amava ricordarci che di notte nei nostri sogni possiamo anche uccidere delle persone, poi al risveglio non ce ne ricordiamo, ma gli impulsi ci sono eccome!
Certo un sogno non è la realtà, ma l’inconscio fa parte di noi, che ci piaccia o no.
Del resto Freud aveva ben argomentato ciò nello splendido saggio: “Al di la del principio di piacere” (vol. 9 degli scritti) in cui ipotizzava l’istinto di morte in eterna antitesi all’Eros, al desiderio di vita ed amore.
Queste considerazioni fanno saltare il confine tra normalità e follia, di qua i “normali” e di là i folli… Siamo al contempo sani e folli tutti noi, ovviamente.
Capisco bene che non potersi dichiarare con certezza “sani e normali” è fonte di paura ed angoscia, un po' come se potessimo essere ad ogni momento contagiati dalla follia.
Ma, come scrivevo sopra, esiste anche la cattiveria, la malvagità e l’istinto di morte alimenta tutti questi sentimenti. Ho sentito interviste in cui si ipotizzava che Lubitz soffrisse di forte depressione, o di nevrosi acuta, oppure psicosi, magari anche paranoia….
E’ più destabilizzante accettare che l’istinto di morte è dentro ognuno di noi, ha grande libertà nei nostri sogni e, purtroppo, talvolta esce dai nostri sogni per divenire un incubo che dobbiamo osservare ad occhi aperti.


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