La somatizzazione. La natura guarisce, il medico cura



"La natura guarisce, il medico cura". Inizio questo mio scritto partendo dal titolo di un libro del medico e psicoanalista tedesco Georg Groddeck, considerato il fondatore della medicina psicosomatica.
Orbene questo geniale medico aveva studiato il simbolismo psicologico degli organi del corpo e curava con la psicoanalisi e la medicina naturale le malattie "somatiche", nella sua clinica di Baden-Baden.
Addirittura Freud riconobbe di essere debitore con Groddeck del termine Es, l'energia psichica che: "Rappresenta la voce della natura nell'animo dell'uomo".
Da allora tante ricerche e studi hanno dimostrato che emozioni, affetti, dolori psicologici si riversano sul corpo e lo fanno ammalare. Noi tutti abbiamo sperimentato in piccola o gran parte questa verità: se stiamo male nell'anima anche il nostro corpo sta male e viceversa...
Qui però il rapporto è chiaro e diretto, se sono triste ed abbattuto sarò con le spalle curve, senza energia, affaticato e svogliato. Non si scappa, emozioni e corpo sono complementari e connessi in maniera assoluta.
Però spesso non siamo in grado di esprimere od accettare talune emozioni, affetti o sentimenti e qui le cose si complicano. Allora si parla di somatizzazione, ovvero del fenomeno per cui una persona sperimenta una sofferenza psichica per il tramite di sintomi fisici. Questi sintomi vengono quasi sempre portati all'attenzione del medico, anche se poi tali disturbi non hanno una base organica, non si rintracciano evidenze cliniche documentabili, gli esami (ecografie, sangue, Tac) dicono poco o niente. La persona sta male, il medico non sa più che esami prescrivere, magari si va da un altro sanitario senza tanta soddisfazione e il dolore rimane!
Salto di palo in frasca, negli anni '80 a a Milano partecipai all'inizio dell'avventura di Riza Psicosomatica, rivista mensile di medicina psicosomatica, nata per mostrare il collegamento tra le emozioni ed i sintomi "somatici". Gli articoli si riferivano ai sintomi più svariati: gastriti, dolori addominali, cefalea, nausea, vomito, dolori nevralgici, paralisi agli arti, pressione "ballerina", perdita della voce, mancamenti, insonnia, calo della vista....
Orbene, negli scritti si metteva in evidenza il fatto che se delle emozioni, delle scelte importanti, delle paure non riconosciute, non avevano accesso alla nostra coscienza (consapevolezza), il corpo si ammalava e si esprimeva con un sintomo. Come se la nostra mente ci dicesse: "Non mi vuoi ascoltare? Allora il tuo corpo starà male e dovrai fare per forza qualcosa..." 
Ad esempio l'emicrania è caratteristica delle persone "tutta testa", cerebrali, che cercano di controllare le proprie emozioni con processi di pensiero razionali, negando i conflitti o lo stress. Quella forma di cefalea cosiddetta muscolo-tensiva, fa riferimento a persone che hanno pensieri così "pesanti" da sovraccaricare il collo e le spalle. Si tratta di persone sin troppo responsabili con un senso del dovere eccessivo ed insopportabile.
Il mito, cui spesso si faceva riferimento negli scritti di Riza Psicosomatica, ci aiuta: ad esempio Zeus soffriva di dolorosissime cefalee e guarisce solo quando esce Atena dalla sua testa. Il mito ci insegna che occorre aprirsi la testa (la logica) e fare uscire il femminile, ovvero le emozioni, per cui testa ed emozioni assieme permettono la nascita della saggezza, incarnata della dea Atena, che noi tutti conosciamo bene perché è anche la protettrice di quel vagabondo e guerriero di Ulisse...
Ai pazienti che si rivolgono a me con sintomi psicosomatici di solito propongo la seguente prospettiva: anziché considerare il sintomo un nemico da combattere e vincere, chiedo loro di provare a capire cosa il corpo sta loro dicendo con il suo linguaggio. Considerare il sintomo un modo del corpo di dirci qualcosa per cercare delle soluzioni originali od accettare verità spiacevoli e, di conseguenza cambiare qualcosa della propria vita. Certo non è facile ed immediato ma tale prospettiva può solo portare benefici a breve e lungo termine, potrebbe consentire di rivedere decisioni e posizioni rispetto a persone e cose della nostra vita, emozionale e relazionale. Oltretutto spesso esprimere ed accettare un'emozione potente come la rabbia o la frustrazione è già di per se "curativo".
Giusto un inciso su un sintomo molto comune e faticoso da gestire: l'insonnia.
Fermo restando che capita a tutti se è un sintomo passeggero, se invece perdura allora occorre mettersi in ascolto e tentare di comprendere che cosa (emozione o persona) mi tiene sveglio ed inquieto.
Considero l'insonnia come la febbre, non è una malattia in se ma il segnale di qualcosa che non va ed è da indagare e conoscere. Quindi perché sto sveglio, che cosa non va della mia vita, che cosa desidero ma mi nego, con chi sono arrabbiato e credo di non potere fare nulla, sono troppo stanco e non riesco a "staccare", di cosa ho paura...? Ricordiamo che molto spesso più che le risposte, sono le giuste domande il vero inizio del processo di guarigione.
  









Il disegno dei bambini


 
 
Il disegno infantile è da sempre un utile strumento di conoscenza ed indagine per cercare di comprendere la psicologia di un bambino sia sul versante della "cosiddetta normalità" che per aspetti disfunzionali o patologici.
I test più usati, cosiddetti carta e matita dato che sono di semplice ed immediata somministrazione, oltre che ampiamente codificati sono: il test dell'albero, della figura umana e il disegno della famiglia nelle due versioni, famiglia di esseri umani o famiglia di animali (cani, gattini).
L'interpretazione del disegno si basa sui fondamenti dell'interpretazione della scrittura, ovvero il simbolismo dello spazio, studiato all'inizio dello scorso secolo dal grafologo svizzero Max Pulver.
Per fare degli esempi: l'alto simboleggia la luce, il cielo e il giorno.
Il basso: il buio, il profondo, la nostra parte istintuale.
La sinistra: il passato, la madre e l'introversione.
La destra: il futuro, il padre, l'estroversione.
A questi semplici e preziosi test carta e matita, possiamo aggiungere lo SCENOTEST di Von Stabbs, ovvero una scatola con pupazzetti di varie età, animali, macchinine e pezzi colorati di legno. Il test viene somministrato ai bambini per fare loro costruire una storia.
 
La scatola dello Scenotest
Le FAVOLE della Düss, che consistono in dieci storie da raccontare al bambino per poi analizzare le sue risposte.
Le famosissime BLACKY'S PICTURES, ovvero 12 tavole che hanno per protagonista il cagnolino Blacky da mostrare al bambino per indagare vari aspetti della personalità, in riferimento alla teoria psicoanalitica.

 
Una tavola delle Blacky's Pictures
L'altrettanto conosciuto TAT, Test di Appercezione Tematica, che consiste in 10 tavole con raffigurati animali da utilizzare perché il bambino verbalizzi una storia.
Il FAT, Family Aptitudinal Test, sei tavole che raffigurano scene di bambini e adulti per chiedere al soggetto di inventare una storia in relazione ad ogni tavola.
Con il tempo si sono aggiunti svariati test come quello dei 4 ELEMENTI: il SOLE, collegato all'elemento FUOCO simboleggia la figura paterna, l'ACQUA, origine della vita possiamo associarla alla figura materna, la CASA viene collegata con l'elemento ARIA e consente di fare ipotesi sulla vita del bambino nel suo ambiente familiare, per ultimo il SERPENTE legato all'elemento TERRA consente di fare ipotesi sul desiderio del bambino di conoscere ed esplorare il mondo circostante. 
Tralascio volutamente le scale di intelligenza ed i test cognitivi il cui scopo è valutare ritardi mentali, deficit dell'attenzione o traumi cerebrali.
La costante di questi test, dai più semplici ai più articolati è l'utilizzo del meccanismo della proiezione, che consente di ottenere del materiale prezioso da parte del bambino e che andrà elaborato e correlato con l'anamnesi ovvero la conoscenza quanto più dettagliata della storia familiare.
La proiezione è un meccanismo di difesa studiato da Freud che aveva osservato che il bambino con grande naturalezza attribuisce ad altri, siano essi animali, oggetti o persone, emozioni, sentimenti e desideri che lui stesso prova.
Questo meccanismo è alla base dell'utilizzo dei test cosiddetti proiettivi, prima citati, e consente allo psicologo di comprendere aspetti emozionali, desideri, difficoltà relazionali ed angosce del bambino cui vengono somministrati.
In conclusione questi strumenti possono permettere allo psicologo di fare ipotesi, comprendere aspetti critici e difficoltà, espresse tramite il disegno dal bambino.
Particolare attenzione va posta alla cosiddetta "somministrazione" del o dei test.
Immaginata la classica situazione, un bambino che non ha mai visto lo psicologo, accompaganato dai genitori, magari con delle facce tristi e preoccupate, viene sottoposto a strane prove. Anche i disegni, che per lui sono un piacere, ora vengono richiesti in sequenza ed è comprensibile che il bambino sia quantomeno perplesso se non ostile.
Ne consegue che la capacità empatica, l'attenzione ed il rispetto per i tempi del bambino possono fare si che un test sia valido o del tutto falsato, non per problemi del giovane esaminato ma per mancanza di tatto e professionalità dell'esaminatore!
Ricordiamo poi quanto ha detto un grande pediatra e psicoanalista inglese, Winnicott: "Non esiste un bambino ed una madre ma una relazione tra la madre ed il suo bambino..." che tradotto significa che se un bambino sta male occorre indagare le relazioni familiari, emozioni e sentimenti di quella famiglia.







Serata su Pirandello al teatro "Garibaldi" del Consolato di Nizza

La locandina della serata teatrale
Va proprio detto che il nuovo Console di Nizza Raffaele De Benedictis e la moglie, Signora Paola, hanno impresso una piacevole accelerazione agli eventi culturali siano essi conferenze, intermezzi musicali, teatrali o gastronomici direttamente organizzati, o promossi in associazione con altre realtà italiane di Nizza.
Sarò sincero, negli anni scorsi la voglia di partecipare era poca sia per le "offerte" proposte sia per la lontananza "emotiva" dei rappresentanti del Consolato, fatta eccezione per poche persone.
Una cosa che mi aveva molto colpito (negativamente) nel 2016, era stata la decisione di festeggiare il 2 giugno alla villa Massena, cornice prestigiosa ma del tutto fuori luogo rispetto alla sede del nostro Consolato, con annesso gradevole giardino e pennone con la bandiera italiana...
Nell'ultimo anno la partecipazione delle persone, siano esse italiane o amici francesi, è aumentata, sento parlare con interesse degli eventi attuali e futuri organizzati dal Consolato, ed è un vero piacere cogliere l'atmosfera conviviale unita alla cordialità del Console e Signora.
Voglio anche ringraziare l'amico Sabino Lafasciano, uomo di cultura, oltre che attento, e perchè no, anche "pungente" animatore di molte serate al nostro Consolato.
Invito tutti a partecipare alla rappresentazione teatrale di venerdì e con l'occasione rileggere la biografia di Pirandello, personaggio complesso e geniale.
Al liceo spesso abbiamo cercato di evitare le lezioni su Pirandello, poi con il tempo sono andato a teatro a vedere le sue opere. Ricordo ancora la prima rappresentazione cui ho assistito: "L'uomo dal fiore in bocca", dramma borghese in atto unico, al teatro Carcano di Milano.
Erano tanti anni fa....



Un filosofo in cucina: Keisuke Matsushima

Keisuke Matsushima (foto dal sito)
Sushi-K, un piccolo locale con solo sette coperti, arredo e sedie in legno, ambiente caldo ed accogliente con il bancone attorno allo spazio per preparare il sushi.
In questa "location" mi accoglie Keisuke Matsushima. Mentre parliamo Kobuchi Takao prepara il sushi con gesti misurati e delicati, le sue mani sembrano danzare mentre tagliano e compongono i piatti.
Keisuke inizia a parlare sottovoce e mi racconta del suo amore per Nizza, del mare e del clima gradevole della città. Gli piace fare sport ed in questa zona può godere sia del mare che delle belle montagne a pochi chilometri dalla città. Viaggia molto per piacere e per lavoro, tra Europa e Giappone, (ha due ristoranti a Tokio) ma si sente particolarmente attratto dalla cultura mediterranea ed in particolare modo dalla cucina dei paesi che si affacciano su questo mare.
A Nizza ha tre ristoranti ed il piccolo Sushi-K, aperto a fine ottobre nella centrale rue de France, ad un passo dalla zona Pietonne.
Di colpo si alza e mi invita a seguirlo nell'attiguo ristorante, passo così per la zona cucina, sembra una sala operatoria, ossequiosi giovani giapponesi si affaccendano per preparare le basi dei piatti.
Qui il tono della sua voce cambia e prende vita. Si siede su una sedia di Chiavari, da lui reinterpretata e resa leggerissima ed avvolgente e con il sorriso mi dice: ≪E' come essere nelle braccia di una madre, accolti e rassicurati, per potere gustare il cibo con calma...≫
≪Sempre più si parla di cibo "fusion" di contaminazioni tra le cucine ma io penso invece che occorre andare alle origini, conoscere e studiare i componenti, gli ingredienti, la sapienza antica che le cucine ci hanno tramandato nel tempo.
Proprio per questo amo la cucina regionale italiana, che riesce ancora ad esprimere una cultura del cibo con grande sapienza, più della cucina francese che troppo spesso è  "omologata" oppure soffre di una ricerca di novità a tutti i costi.
Keisuke va personalmente a comperare verdure, carne e pesce dai produttori locali, e soprattutto al mercato di Ventimiglia, dove lo conoscono tutti e con pazienza rispondono alle sue domande e gli passano preziose informazioni sui prodotti del territorio.

Al mercato del pesce di Ventimiglia (foto dal sito)
Continua : <<Considero la regione di Nizza, il Ponente ligure e parte del Piemonte un unico territorio dal punto di vista della cultura del cibo, non a caso sono appena tornato da Alba ove ho acquistato dei meravigliosi (e costosi) tartufi.
Mi affascina conoscere i prodotti del territorio per esaltarne le specificità, cercare piccole produzioni di eccellenza. Ad esempio a Sanremo ho trovato una signora che vende al mercato locale dei friarielli da lei coltivati...!
Friarielli che sono un concentrato di sali minerali, vitamine ed antiossidanti, aiutano il processo digestivo e sono privi di colesterolo e grassi>>.
Per Keisuke cucinare è conoscere profondamente gli ingredienti, conoscere la storia delle pietanze di una certa zona, capire gli abbinamenti e rispettare la stagionalità dei prodotti.
Questa porzione di territorio, affacciata sul Mediterraneo, ha rappresentato per lui una scoperta, ha trovato un'inaspettata ricchezza e sapienza nelle cucine locali.
Continua : <<Ciò mi permette di preparare piatti, siamo essi di carne, pesce o verdure con un preciso bilanciamento dei sapori, piatti gradevoli per le papille del nostro stomaco che inviano inoltre un messaggio (chimico) alla nostra mente di serenità ed appagamento. 
Il cibo è per riempire la pancia, la cucina è per dare piacere e serenità alla persona>>.
Chiedo a Keisuke cosa pensa del sale e dello zucchero.
Prima di rispondere fa una faccia che lascia presagire la risposta e aggiunge :
<<Non uso mai zucchero e sale, fanno male, per me sono veleni, ne vediamo gli effetti in troppi cibi calorici ed artefatti>>.
Mi dice che assapora con piacere i cibi preparati con i ricchi ingredienti del territorio e, da bravo giapponese, ama ovviamente il sushi, questo "aspro" cibo che sposa il riso con pesce, vegetali o uova, piacere per il ventre (come dice lui ridendo) e soprattutto piacere e serenità per la nostra mente.



Banco della verdura a Ventimiglia (foto dal sito)
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I "Sacerdoti" del cibo: gli Chef

Giovanni Sorrentino a VIA LATINA
Sapete che mi occupo da lunghi anni di "disturbi del comportamento alimentare", (anoressia, bulimia ed obesità) e sapete ancor meglio che il cibo è solo l'effetto visibile di questa sofferenza, sofferenza legata nel profondo alle relazioni emotive con le figure di riferimento familiari.
Ma il cibo esprime soprattutto vita, amore, gioia e piacere, meglio se condiviso con altri: i "Sacerdoti" di questi riti sono gli Chef, uomini e donne che lavorano, studiano e preparano quotidianamente alimenti (poveri o ricchi) con la fatica delle loro mani.
Con piacere vi presento la mia intervista ad uno di questi "Sacerdoti", che lavora a Nizza in Boulevard Jean Jaures, meglio conosciuto come la Coulée Verte dopo l’importante intervento di riqualificazione di questa porzione di città. Qui si affaccia Via Latina, bottega di prodotti italiani freschi, paste, secondi, formaggi e delizie varie, dolci compresi. Proseguendo verso l’interno del locale si scopre uno spazio affacciato sulla cucina, con gli ospiti seduti su sgabelli, che conversano, e al centro un grande tavolo attorno al quale è possibile assaggiare i piatti preparati al momento dallo chef Giovanni Sorrentino, di origine e tradizione napoletana (la sua famiglia gestiva una trattoria vicino al porto di Napoli).
Simpatico, curioso e dalla storia professionale variegata, di formazione è biologo ma la passione per la cucina l’ha allontanato dai laboratori di ricerca per permettergli di dedicarsi completamente alla cucina, e che cucina! Dopo aver lavorato a lungo come chef in Toscana, ad Arezzo, da tre anni è approdato a Nizza. L’innata curiosità lo ha portato a incontrare proprio qui in Costa Azzurra due persone che Giovanni considera visionarie, nella cucina e nella vita. Ha avuto due esperienze lavorative con chef importanti: il primo è David Faure, che è stato una stella Michelin, l’altro è Keisuke Matsushima chef di poche parole ma concreto, scientifico e pulito come sa essere un giapponese. <<Mi ha fatto capire che io coglievo a livello intuitivo alcune cose della cucina che invece è una scienza molto precisa>>.
So che si riferisce soprattutto all’Umami, di cui mi parla  davanti ad un calice di Falanghina, mentre mi racconta della sua esperienza con Matsushima. La parola giapponese significa “delizioso” ed è stata utilizzata da un chimico, il dr. Ikeda, nel lontano 1908, partendo da una zuppa tradizionale che si chiama dashi, fatta con il tonno essiccato di alta qualità, zuppa complessa da preparare. Ebbene Ikeda percepì un gusto che non era tra quelli conosciuti sino ad allora, ovvero: salato, dolce, acido e amaro.
Questo quinto gusto che definì Umami, era un sapore che identificò in una molecola ben precisa ovvero il glutammato di sodio che ritroviamo anche nei dadi da cucina. Per inciso l’Umami viene prodotto oggi in modo industriale dalla stessa azienda fondata dal dr. Ikeda, e viene utilizzata molto in Asia.
Anche in Francia, mi dice Giovanni, il grande chef Paul Escoffier, all’origine della moderna cucina francese, ritrovò nei fondi di cottura della carne (vitello, quaglia, piccione o maiale) questo quinto gusto “rotondo” che completava e dava sapore pieno al cibo, rendeva “delizioso”.
Da bravo napoletano, Sorrentino ama particolarmente la cucina classica della sua città e quella italiana in generale. <<Sai perché il Parmigiano Reggiano è così buono? Perché contiene la maggiore quantità in assoluto di glutammato naturale, ecco perché piace così tanto. Se mangio Parmigiano faccio bene al corpo e questa “delizia” giunge anche alla mia mente. Ti faccio un altro esempio: in un piatto di spaghetti alle vongole c’è glutammato nella pasta e Inosina nelle vongole, quindi è pieno di Umami!>>
<<Tieni conto che l’Umami consente di cucinare con meno grassi, meno olio e burro, perchè combinando i vari ingredienti il sapore “esplode” e non hai bisogno di caricare troppo il cibo, tanto da potere essere mangiato con piacere anche da persone anziane o malate. E’ bene ricordare che con l’età si perde il gusto del sale perché i recettori del salato muoiono e viene fuori sempre più il dolce come sapore percepito>>.
Per i piatti che prepara a Via Latina predilige i prodotti genuini, scelti accuratamente. Mi fa l’esempio della pasta al pomodoro, ma quali pomodori utilizza? <<Naturalmente quelli del “Piennolo” vesuviano, a grappolo, prodotto Dop, così come il formaggio Pecorino Fiore Sardo (Dop), e ho spinto chi mangiava solo carne a provare anche il pesce e… pensa, sono anche tornati curiosi di assaporare altre mie ricette!>>

Intervista pubblicata sul sito: Voglia di Francia  http://www.vogliadifrancia.it/

Intervista su Monaco Italia Magazine

foto © arvalens
Agli operai di un tempo ed ai ristoratori, si aggiungono gli operatori nel campo immobiliare, gli esercenti, i liberi professionisti, gli imprenditori, eccetera. Apprezzati e qualificati nei rispettivi settori lavorativi. Sono gli italiani a Nizza, ovvero gli oltre 30.000 nostri connazionali che si dedicano ad un'ampia gamma di lavori, a cui si aggiungono i turisti ed gli italiani che soggiornano nella città della Costa Azzurra durante le vacanze o per periodi limitati.
Riporto l'intervista che la Dr.ssa Angela Valenti Durazzo mi ha fatto per il suo Monaco Italia Magazine, giornale on-line in italiano, che segue gli eventi del Principato di Monaco e dei territori limitrofi.
Christian Estrosi, sindaco di Nizza, ha origini italiane ed è un sostenitore dei legami culturali, istituzionali e commerciali fra le due nazioni. Mentre girando per la città è inevitabile provare un moto di orgoglio quando si passa in Place Garibaldi, al centro della quale vi è la statua dell’eroe dei due mondi, nato a Nizza.
Sono molte, dunque oltre al Consolato Italiano a Nizza, la Camera di Commercio italiana e il Com.it.es, (Comitato italiani all’estero) le realtà e le iniziative di cui possono usufruire i nostri connazionali.
Ma come vivono gli italiani a Nizza? Quali sono gli stereotipi da sfatare sui cugini d’oltralpe e sui nostri connazionali all’estero? Ce ne parla, in relazione alla propria esperienza personale e professionale Massimo Felici, psicologo e psicoterapeuta milanese trasferitosi a Nizza con la moglie Cinzia nel settembre 2013.
E’ la domanda che sempre mi pongono amici, colleghi e conoscenti italiani da quando siamo espatriati – spiega – sappiamo bene che la Costa Azzurra è conosciuta in tutto il mondo e sinonimo di vacanza, piaceri, buona cucina, offerte culturali e paesaggistiche di rilievo. Tutto vero ma, ovviamente, anche terra ove vivono spesso faticosamente tante persone, francesi e non, che nel corso degli anni hanno cercato, e talvolta, fatto fortuna”.
Dottor Felici, ci racconti innanzitutto perché ha deciso di trasferirsi a Nizza
Per la nostra famiglia non è un’esperienza nuova. Mia nonna ha vissuto 15 anni a Nizza dove aveva due negozi, uno di oggetti veneziani e l’altro di pizzi di Burano. Allo scoppio della guerra rientrò in Italia ma quando rimase vedova volle tornare a Nizza. Per quanto mi riguarda invece, dopo tanti anni di lavoro a Milano come psicoterapeuta, nel settembre del 2013 con mia moglie abbiamo deciso di trasferirci in questa città, dove continuo a fare la mia professione, sia con pazienti italiani a Nizza ed in Costa Azzurra, sia con quelli che seguo via Skype, a Milano o altrove. L’incontro con la Camera di Commercio Italiana di Nizza mi ha permesso di riprendere anche ad insegnare la lingua italiana ai francesi, di allestire seminari per le aziende associate, di occuparmi di eventi culturali ed intervistare persone italiane e francesi per il Blog della Camera di Commercio.
Quali sono, nonostante il supporto di enti ed istituzioni, i problemi che incontra al suo arrivo un italiano che vive e lavora nella città più grande della Costa Azzurra?
Stando alla mia pratica professionale sono principalmente due. La conoscenza non sufficiente della lingua francese può far si che la persona si senta svalorizzata. Infatti chi si trasferisce lo fa per avere più sicurezza dal lato economico, ma vi è anche una fatica di vivere legata all’apprendimento della lingua e all’adeguamento alle diverse abitudini. Occorre infatti per prima cosa rendersi conto che siamo a circa 40 chilometri dall’Italia ma non siamo in Italia. Entrare nella logica di un popolo straniero sebbene con i dovuti tempi e modalità. Un’altra situazione che si presenta con una certa frequenza è quella delle relazioni a distanza che possono degradarsi e finire.
E il terribile attentato del 14 luglio 2016, quali ripercussioni ha avuto in generale sulla popolazione?
L’atmosfera dopo quel giorno è stata a lungo pesante. La maggior parte delle persone, infatti, anche se non si trovava sul posto della strage, ha avuto parenti, amici o conoscenti coinvolti. Oppure ha visto l’accaduto anche se è riuscita a mettersi in salvo. Sicuramente molti hanno avuto bisogno di un sostegno psicologico, anche se devo dire che il Comune di Nizza, ha fatto molto per aiutare la cittadinanza nell’elaborazione del lutto ed anche le recenti celebrazioni del 14 luglio, festa nazionale francese, lo hanno dimostrato.
Ed oggi ?
Nessuno ha dimenticato ma oggi si vuole andare oltre. I primi tempi era difficile anche per me, passare sulla passeggiata in bicicletta, come facevo prima, come niente fosse. Nessuno si aspettava quello che è accaduto. Nizza è sempre stata per i turisti e per noi tutti un’isola felice. Qui non poteva accadere nulla.
E tornando agli italiani a Nizza?
Andando all’estero cominci a pensare in maniera diversa. Non è che si dimentica l’Italia, al contrario chi è qui vede molto meglio la realtà del nostro Paese, quali sono i problemi ed anche le prospettive e le risorse. Qui si crea un mix tra la cultura italiana, che è grandiosa, ed il welfare francese. In un certo senso l’italiano all’estero è più italiano, se si esclude una minoranza che dà un taglio netto alle origini.

Come vivono gli italiani a Nizza (parte seconda)

    
Photo Cinzia Corbetta
Sono rimasto molto sorpreso quando stamattina ho visto sulla bacheca di Blogger che oltre 2700 persone hanno letto il mio post "Come vivono gli italiani a Nizza", pubblicato il 22 luglio scorso.
E' un numero molto elevato per il post di un "semplice cittadino" che vive e lavora in quel di Nizza...
Solo una parte dei lettori ha poi scritto un commento sul mio post condiviso su FB, e devo dire che anche qui sono rimasto sorpreso: altro che Guelfi e Ghibellini di Toscana memoria, pare proprio che per molti Nizza sia una città in cui vivere è positivo, bello, accogliente e via così, ed altrettanti hanno espresso parole negative e dure rispetto alla città ed al dovere-volere viverci e lavorare.
Per molti Nizza è peggiorata, come qualità di vita, persone, offerte lavorative, pulizia e sicurezza.
Altri hanno espresso invece soddisfazione non solo per la riqualificazione in atto della città (piazze, pedonalizzazioni, verde e trasporti), ma anche in termini di offerte lavorative e sicurezza.
Chi ha ragione? 
Vissuti così diversi e radicali mostrano che Nizza è percepita come stratificata orizzontalmente, a più livelli, ed ognuno coglie il piano che più lo caratterizza e lo avvicina alle proprie paure o desideri oltre che aspettative.
Personalmente percepisco due città di Nizza, a mo' di taglio verticale, quella dell'anno lavorativo e quella estiva e vacanziera. Mi spiego meglio: d'estate Nizza, ad eccezione dell'anno scorso dopo il tragico attentato del 14 luglio, scoppia di gente, macchine, bici e motorini, con il codazzo assordante di rumori, odori e frenesia dello shopping, dei locali trendy e non con ristoranti e pizzerie piene di turisti...
Questa Nizza non mi piace, il numero di abitanti aumenta vertiginosamente e la città è in affanno: traffico, sporcizia e rumore la fanno da padroni.
Permettetemi una "cattiveria" di costume: trovo che la stragrande maggioranza dei turisti faccia proprio di tutto per vestirsi, camminare e porsi in modo sgradevole e volgare, poi in altri momenti dell'anno ed in altri contesti d'improvviso tornano seriosi!
Dopo avere espresso la mia opinione, condivisibile o meno, vorrei analizzare un po' meglio quella che chiamo la Nizza lavorativa: la città sta cambiando, i lavori del tram, linea due, proseguono e sono certo che i tempi finali di realizzazione dell'opera saranno rispettati. Leggo che i costi aumentano, i cantieri sono campi di battaglia, ci sono le voragini che hanno dato tanto da scrivere ai giornali, tutto vero, ma penso che al termine dei lavori Nizza avrà trasporti ancor più efficienti, e non è poco.

Photo Cinzia Corbetta
La Coulée Verte, grande opera di verde che sana orribili edifici precedenti, è certo un polmone di svago e piacere per i nizzardi e gli ospiti della città. Mi si dirà che la pelouse (il prato) è stato rifatto in varie zone, con conseguente aumento delle spese, però vedere giornalmente giovani, bimbi ed anziani godere della Coulée Verte è un piacere immenso.
Estrosi, il Sindaco di Nizza, sovente contestato per il suo culto della personalità (definizione usata per Mao Tse-tung, forse ricordate), è onnipresente ad inaugurazioni qua e là per la città ed ha certo il suo buon tornaconto politico però si vedono opere, palazzi e riqualificazioni importanti (vedi la Gare du Sud), che rivitalizzano interi quartieri della città.
Certo il progetto faraonico di edizia commerciale-abitativa lungo la piana del fiume Var, con il nuovo stadio sportivo Allianz Riviera ed in attesa del grande spazio espositivo che realizzerà Ikea, è un boccone succulento per gli immobiliaristi, ma numerose società li stabilite potranno assumere personale e non è poco.

Photo Cinzia Corbetta
Aprono tanti negozi e ristoranti, molti chiudono, ed il mercato delle case sembra in ripresa anche se i tempi d'oro sono finiti. Molti studenti, anche stranieri, frequentano l'Università di Nizza oltre che le varie Business School, e questa vivacità mi pare un grande bene. Mi rendo conto che potrei continuare con esempi di vario genere ma non riuscirei a convincere coloro i quali pensano male di Nizza, dal loro punto di vista hanno ragione, ogni moneta ha il suo rovescio Eros è tale perchè vi è Thanatos (citazione freudiana).
Attendo i commenti su FB...



 


 
 





Come vive un italiano a Nizza?


Ph. Cinzia Corbetta
Già, come vive un italiano a Nizza? E' la domanda che pongono amici, colleghi e conoscenti italiani a me, espatriato dal settembre 2013.
Sappiamo bene che la Costa Azzurra è conosciuta in tutto il mondo e sinonimo di vacanza, piaceri, buona cucina, offerte culturali e paesaggistiche di rilievo. Tutto vero ma, ovviamente, anche terra ove vivono spesso faticosamente tante persone (francesi e non) che nel corso degli anni hanno cercato, e talvolta, fatto fortuna.
Ogni medaglia ha il suo rovescio e non bisogna farsi ingannare dalle belle e patinate immagini del marketing...
Sarebbe interessante avere delle analisi per età, lavoro, anni di permanenza nella zona e via così, dati statistici e storici per potere rispondere con cognizione.
Però alcune osservazioni sia pur empiriche si possono esprimere, con la dovuta cautela.
Purtroppo alla mente balza subito la data del 14 luglio 2016, un drammatico spartiacque tra un prima gioioso e "vacanziero" ed un poi, faticosamente alla ricerca di una normalità.
Ricordo ancora una sera in Promenade, alla fine di agosto dell'anno passato, la poca gente che camminava, il silenzio, il senso di depressione che aleggiava cupo.
Fortunatamente ora non è così, certo la Mairie ha fatto molto per far risollevare la città ed ovviamente i suoi commerci ed i servizi per i turisti, ineguagliabile fonte di entrate per la città e tutta la costa.
Anche le proposte culturali sembrano ora "risvegliare" Nizza, e non possiamo che esserne contenti.
Torniamo ora alla comunità italiana che è numerosa, presente non solo nella ristorazione (un must) e nell'edilizia (altro must) ma anche in attività professionali: immobiliare, servizi, sanità ecc...
Ho conosciuto tanti italiani che lavorano, taluni duramente, e che hanno lasciato l'Italia per i motivi che tutti noi ben conosciamo, ma non ho percepito lamentazioni, tanta voglia di fare si, di riuscire, che si tratti di una pizzeria o di un lavoro da impiegato.
Spezzo una lancia a favore della "comunità" napoletana di Nizza, vera sorpresa per me: sono simpatici, chiassosi, creativi e lavoratori, si avete letto bene, lavoratori! Sono tanti (perlomeno ne ho conosciuti tanti),
Trovo anche molto bello frequentare "coppie miste" lui o lei italiano/a e lei o lui francese, penso che permetta di apprezzare le diversità e le analogie culturali italo-francesi, soprattutto si possono lasciare da parte certi stereotipi che dovrebbero essere lasciati al passato.
Ormai ho anche tutto un circuito di punti di riferimento "italiani" per quanto riguarda cibo (ovviamente) servizi, artigiani e quant'altro alla bisogna in quel di Nizza.
Del resto Ventimiglia è a 40 km. il che vuol dire che i prodotti italiani di largo consumo, cibo e servizi vari (banche-Posta-ACI) sono a portata di mano così come il mercato comunale, le varie Coop. Metro, Catering e negozietti vari.
Da bravo cittadino sono iscritto all'AIRE (si deve fare) ed ho cambiato la targa della macchina, ho l'assistenza sanitaria francese (ottima, devo dire) ed un medico di base italiana (brava ed ora anche preziosa amica).
Ho conosciuto da zero tante persone italiane e francesi, alcune si sono perse per strada (meglio così) altre sono divenute molto importanti e, pur in breve tempo, amicizie solide e fruttuose.
Le realtà associative locali per gli italiani lasciano molto a desiderare, si salvano poche persone generose che, il caso ha voluto incontrassi, e che mi tengo ben strette!
A Nizza abbiamo ora un Console ed una consorte (insegnante ed artista) che fa piacere incontrare e sapere essere i nostri rappresentanti, che innegabilmente hanno sviluppato momenti di incontro della comunità sia sul versante culturale che più ludico. 
Il clima è magnifico (lo so qualche giornata "bollente" l'abbiamo anche noi) e i dintorni ricchi di possibilità paesaggistiche e culinario-culturali.
Ho nostalgia dell'Italia e della "mia" Milano? si, ovviamente, l'Italia è un bellissimo paese, ce lo riconoscono molto anche gli amici francesi, ma con problemi che sembrano endemici ed una classe politica...
Per amor di Patria non affronto questo tema, ognuno di noi ha le sue risposte e le sue convinzioni politiche, rispettabili. Innegabile però è che se così tanti italiani se ne vanno le risposte della politica non sono all'altezza delle legittime aspettative dei cittadini. Cito un esempio: ogni tanto vedo il telegiornale italiano delle 20. Ebbene con il passare dei mesi (ora anni) vedo sempre le stesse facce, che dicono le stesse parole, e le criticità sono sempre le stesse: Alitalia, la sanità, l'INPS, i migranti, la terra dei fuochi, i rifiuti, scandali di ogni genere e colore (politico)....
Una cosa però mi fa molto arrabbiare, sentire chi dice che gli italiani all'estero non tengono al loro paese, altrimenti sarebbero restati a "vivere e combattere".
Ebbene credo che proprio essere all'estero invece ci permetta di leggere i fatti e la politica italiana con un'attenzione maggiore dato che vediamo bene che determinati problemi in Francia sono stati affrontati e risolti, spesso senza la coda di polemiche infinite.
Quindi un italiano vive bene a Nizza?
Lascio a voi la risposta...














30 millions d'amis




Esiste in Francia una fondazione a difesa degli animali che si chiama 30 milioni di amici.
Gli amici cui si riferisce l'organizzazione sono gli amici a quattro zampe come cani e gatti ovviamente, ma non solo. La fondazione si occupa con encomiabile sforzo di proteggere tutte le specie animali dall'animale più pericoloso ed aggressivo, l'uomo!
L'obiettivo della fondazione concerne la sensibilizzazione, la responsabilizzazione, l'azione e la lotta in favore degli animali.
Ad esempio sul sito si trova una lettera di contro-argomentazioni ad un sindaco francese pro corrida, indirizzata al Presidente Macron.
Ovviamente sono presenti tutte le rubriche inerenti salvataggi, accudimento di animali, adozioni per animali abbandonati, video contro l'abbandono ed ogni tipo di maltrattamento.
Guardare il sito fa al contempo tenerezza e rabbia, nel leggere quanta cattiveria gratuita nei confronti dei nostri amici animali.
Ho letto che Italia e Francia hanno tra i paesi europei il maggior numero di animali cosiddetti domestici, nell'ordine di milioni, come ci ricorda la fondazione 30 milioni di amici.
Recentemente mi è capitato di seguire una giovane donna trentenne, figlia unica sin troppo amata dai genitori, con molti problemi emotivi e relazionali, sfociati anche in una grave psoriasi.
Ammetto che il lavoro psicoterapico andava avanti ad "onde", talvolta bene poi male e via così…
Non sto a scrivere lo svolgersi degli incontri dato che il mio obiettivo è un altro: ad un certo punto della terapia, mi è venuto in mente di proporre alla giovane di prendere con se un cane o un gatto.
Non ero troppo convinto ma in cuor mio pensavo che un animale "domestico" avrebbe potuto aiutare non poco la ragazza e portarla a responsabilizzarsi nell'accudimento dello stesso.
Tentennavo tra un cane ed un gatto, sono diversi (intendo come psicologia animale), poi mi sono convinto per un cane.
Un cane, dato che occorre portarlo fuori per i bisogni e per farlo correre e questo avrebbe comportato per la ragazza investire un po' di tempo e di organizzazione nell'accudimento del quadrupede fuori della sua stanza, rifugio ed al contempo prigione.
Ne ho parlato con i genitori che sono sembrati inizialmente sorpresi dalla mia proposta, poi però hanno dato il loro assenso (vivono tutti sotto lo stesso tetto).
Ho proposto alla ragazza di prendere un cane, abbastanza giovane da far crescere vicino a se, della razza che desiderava ed ovviamente abbandonato e da adottare.
L'adottare un cane è una procedura codificata che comporta visite, pareri da parte di che cede il cane (organizzazioni riconosciute) e controlli post affido.
La ragazza si è attivata con inattesa energia per cercare un cane presso le organizzazioni del territorio vicino, ha visitato con i genitori e poi da sola un luogo di accoglienza ed ha deciso per il suo animale.
Una specie di palletta pelosa color champagne, di nome Zoran ha praticamente scelto lui la ragazza, saltandole in braccio e leccandole la faccia alla grande.
Il primo passo era fatto, ora, con i documenti firmati, Zoran e la ragazza potevano stringere il legame e, credetemi per il cane è stato davvero trovare una bella casa, e per la ragazza un amore incondizionato e festoso.
Da oltre un anno i due vivono assieme, cioè il cane vive e dorme appiccicato alla ragazza, facile da immaginare.
Ed è innegabile che questo legame intenso, vivo, emotivamente carico ha dato un importante contributo alla terapia della ragazza. Posso dire che Zoran fa anche da secondo psicologo…




in un anno ho avuto cinque figli

Credits Anne Geddes

In un anno ho avuto cinque figli….
Il lettore penserà che mi sono sbagliato a scrivere per avere bevuto un Martini di troppo.
No, non è così, è la pura verità, nell'ultimo anno ben cinque pazienti che sto seguendo in terapia hanno salutato con immensa gioia la nascita di un bambino.
Addirittura sono figli trans-frontalieri, ovvero tre sono nati in Italia e due in Francia.
Le storie di queste persone sono diversissime tra loro, accomunate però dall'immenso desiderio di potere avere un figlio come ulteriore suggello della loro storia d'amore con il loro compagno o marito.
Ammetto che se, per una di loro era abbastanza scontato che un figlio potesse "arrivare", coppia giovane, nessun problema clinico per entrambi, forte desiderio condiviso e condizioni economiche ottimali, per le altre coppie la strada era proprio in salita.
Addirittura per una coppia già i medici avevano sentenziato percentuali di possibilità di rimanete incinta della ragazza e prosieguo gravidanza di pochi punti percentuali…
Ovviamente non spettava a me fare pronostici o interferire nelle indicazioni mediche, ho solo fatto lo psicologo e lavorato sulle aspettative, desideri, paure e quant'altro raccontato dalle persone che incontravo.
Avere un figlio interroga profondamente la coppia, saggia a volte duramente la tenuta della coppia stessa, cosa che le donne comprendono molto più di noi maschietti.
Così come tenere in pancia per nove mesi una creatura non è una passeggiata, è un'esperienza magnifica ma anche stancante e viverla senza il costante ed autentico appoggio del proprio compagno è sin troppo difficile.
Lo dico spesso a mò di battuta ma se a restare incinti fossero gli uomini non so bene se il mondo sarebbe andato avanti sino ad oggi…!
Gran parte del mio lavoro è consistito nel lavorare sulle paure delle donne per la gravidanza, l'età che corre come se ci fosse una data di scadenza, capire se ricorrere alle tecniche alternative per restare incinte o lasciar fare alla "natura".
E' proprio vero, una generazione fa ci si ponevamo meno interrogativi, tantissime donne avevano figli, altre non riuscivano e tutt'al più ricorrevano all'adozione.
Oggi abbiamo medici molto specializzati, esperti di biologia e genetica e tecniche fantascientifiche: pensate solo ai test precoci e precocissimi per le malattie genetiche.
Test che dovrebbero rassicurare le donne in gravidanza ma che troppo spesso sono fonte di ulteriore angoscia: se non è sano che dobbiamo fare… ed in un paese cattolico come il nostro le implicazioni sono enormi e ben comprensibili.
Direi che a paure si sommavano altre paure, oltretutto, ed è spiacevole a dirsi, molti esami sono costosi e vanno fatti in centri privati. Non mancano centri pubblici ed ospedali eccellenti ma le liste d'attesa sono lunghe ed il tempo è limitato.
Direi che queste sono le paure sul versante femminile, ma ho visto spesso anche i mariti o compagni delle ragazze in questione, dato che noi maschietti vogliamo tanto i figli ma abbiamo qualche ambivalenza quando il momento giunge e la consorte ci dice che ha proprio voglia di restare incinta!
Alcuni maschietti erano davvero spaventati dall'idea di un figlio, pur comprendendo appieno il desiderio della propria compagna. Come si dice è difficile essere coraggiosi se non si ha coraggio, allora occorre parlare lungamente e rinsaldare la coppia, i genitori dovrebbero essere due proprio per darsi appoggio, conforto, sostegno e perché no, continuare ad essere uomo e donna oltre che sapere "giocare".
Questo è il lavoro dello psicologo, poi il resto è nelle mani del destino, dei medici e di Dio…
E' andata bene, ho avuto cinque figli.







I nostri giovani italiani




Sono davvero tanti i giovani italiani che studiano o lavorano tra Nizza, Sophia Antipolis e zone limitrofe. Qui mi riferisco ai numerosi giovani con una laurea ottenuta in Italia ed ulteriori specializzazioni acquisite sia presso Università del nostro paese che altrove.
Molti sono ingegneri che lavorano in aziende del polo di Sophia Antipolis, molti sono ricercatori in ambito biomedico, chimico o di sviluppo software.
Per motivi di lavoro ne ho incontrati molti, con la costante di persone capaci, curiose ed appassionate al loro lavoro, costrette però a lasciare l'Italia per la difficoltà di trovare o mantenere un lavoro consono e con una retribuzione almeno commisurata alla loro preparazione.
Nessuno di loro si lamenta, hanno messo in conto di potere-dovere lavorare all'estero per un periodo, che sovente si è allungato, e parecchi sono qui in Francia già da tanti anni.
Hanno talvolta nostalgia per casa loro, come non capirli.
Molti di loro hanno inizialmente costruito delle relazioni con altri italiani, magari colleghi di lavoro, è certo più facile, poi il circuito di conoscenze si è ampliato a francesi e giovani di altri paesi europei.
Una volta installati nella nostra regione, dopo essersi ambientati hanno fatto i conti con tutte le incombenze amministrative locali, cambio targa dell'auto, Carte Vitale, Mutuelle ecc... e va detto che troppo spesso non hanno avuto chiare delucidazioni da parte delle istituzioni italiane di Nizza.
Mi chiedo sempre: ma è mai possibile che non esista un ufficio italiano dedicato e centralizzato in grado di indirizzare ed assistere questi giovani (ed ovviamente anche i meno giovani) a districarsi tra le formalità francesi?
Nel mio piccolo ricorro ad una generosa persona, ben conosciuta nella comunità italiana e residente in Francia da molti anni, che si è sempre rivelata in grado di risolvere ogni problema. Ho girato volentieri questo nominativo a diversi giovani.
Quindi, sistemati con l'abitazione (studio) come si dice qui, a posto con il lavoro, auto o bus per andare da casa al lavoro, "i nostri" cominciano a guardarsi attorno per ampliare la loro vita sociale.
Va detto che taluni giungono in Costa Azzurra con la loro compagna/o, alcuni mantengono storie a distanza (Italia-Francia), ma non so perché, pare che dopo un pò tante storie affettive giungano a conclusione con relativa sofferenza e ricorso allo psicologo.
Gli altri frequentano gruppi di giovani ed amicizie informali dei locali "trendy" della zona.
Mi fa sempre effetto sentir dire che dalle cittadine della costa vengono a Nizza, che è considerata la grande città, con vita diurna (e soprattutto) notturna...
Bene il nostro giovane conosce una ragazza, poco importa sia francese, ucraina, scozzese o di non so dove, come tutti i giovani uomini apre un importante capitolo della sua vita per avere una relazione affettiva.
Qui non ci sono più confini o frontiere che tengano, gioie e crucci dell'amore sono uguali dappertutto, mi riferisco alla vecchia Europa e, penso valga per gran parte di questa nostra Terra.
Ho molto rispetto per questi giovani, competenti, intelligenti, svelti e coraggiosi: non se se io sarei stato capace a 23-24 anni di lasciare casa mia per andare in Francia, che è a due passi, per non dire di altri paesi.
Mi fanno anche tenerezza perché nelle cose dell'amore usano il linguaggio del desiderio, della passione, della sofferenza e del rimpianto che è un pò la lingua universale.
Con la differenza che essere lontani da casa pesa molto nei momenti di crisi, la solitudine e la nostalgia mordono di più, occorre grande forza d'animo per non perdersi nella tristezza e nello scoraggiamento.
Qui può davvero fare la differenza avere costruito un circuito di relazioni amicali ed affettive in Francia, oltre all'insostituibile appoggio dei familiari, anche se lontani.
Amici e familiari possono rappresentare la rete di protezione in grado di sostenere per il tempo necessario a riaprirsi alla voglia di vivere con una persona accanto.








Il dolore del lutto




Siamo tutti passati per il dolore del lutto, per lutto non intendo solo l'esperienza della perdita di qualcuno, la fine della vita, ma anche la fine di un amore o di un tempo importante della nostra esistenza.
Scrivo questo post con la tristezza nell'animo per la scomparsa di un amico carissimo, direi un fratello per il legame che ci univa. Morte improvvisa, per beffa del destino in un giorno di gran festa, senza alcun preavviso o esito di malattia.
Quindi ancor più difficile da accettare, comprendere e interiorizzare.
Dapprima viene voglia di capire cosa è successo davvero, quali soccorsi sono stati portati e via così, quasi per negare l'evidenza: la persona non c'è più.
E' terribile ancora adesso svegliarsi la mattina e, per qualche istante, chiedersi se è solo un brutto sogno o è realtà: poi la violenza della realtà si impone e la sofferenza si palesa in tutta la sua portata.
Ci si sente svuotati, senza voglia di fare alcunchè, come se si fosse perso l'orizzonte dei progetti e delle attività in corso.
Credo proprio che questa esperienza ci faccia toccare con mano e duramente cosa vuol dire essere depressi, un tempo fermo e senza significato che avviluppa ogni pensiero e azione.
Non trovo giusto cercare di scacciare la depressione, la tristezza, dato che è "normale" stare male di fronte ad eventi del genere, piangere o rintanarsi in un angolino per un po'.
Al contempo si è costretti a fare ricorso a tutte le risorse psicologiche ed emotive che abbiamo in noi stessi per "tirare avanti" e togliere il velo di tristezza davanti ai nostri occhi.
Conta molto avere delle persone attorno, "complici" della triste esperienza, con cui il legame emotivo ed affettivo è forte per tentare, poco a poco, di uscire dal buio tunnel della morte.
Lavoro lungo, tanto più il legame con la persona era forte ed autentico.
Ma soprattutto rendersi conto che questa esperienza, che ci mette nudi ed impotenti di fronte ad una realtà così dura e totalizzante, ci costringe senza alcuna mediazione a rivedere le priorità della nostra vita: cos'è davvero importante per me, per noi, per la vita.
Queste domande sono forse l'aspetto "riparativo" del dolore del lutto, ovvero dare senso a tante cose che lasciamo sullo sfondo delle vita, indaffarati e presi dalle contingenze quotidiane...
Proprio questo è il lavoro, quasi un dono che la persona scomparsa ci lascia, dare senso, recuperare ciò che davvero conta e non perdersi dietro stupidaggini, inutili guerriglie, falsi problemi e corse verso dove...?
Ciao Lucio.





 

Serata di raccolta fondi per i nostri terremotati


Sabato sera a Carros, grazie alla sensibilità della locale sezione del Lions Club e del Municipio di Carros, si è svolta una serata benefica di raccolta fondi per i nostri terremotati.
Tantissime persone hanno partecipato alla serata, introdotta da un breve filmato sulle bellezze italiane e sui terribili danni alle persone ed alle cose, provocati dal seguito di scosse, che dall'anno scorso tormenta molte regioni della nostra penisola.
Con un attimo di sorpresa abbiamo sentito anche cantare "Bella ciao" prima delle classiche canzoni del repertorio italiano che noi tutti conosciamo ed apprezziamo.
Calorosi applausi da parte degli ospiti francesi(in grande maggioranza) e degli italiani presenti, prima dell'apertura delle danze, in uno spirito di festa campestre...
Il Sindaco di Carros, di origine siciliana ci ha salutato e ringraziato per la nostra presenza, presenza quanto mai sentita per il nobile intendimento della serata.
Grazie Carros per ricordare (ed aiutare) i tanti connazionali che ancora soffrono per il terremoto.




Gli adolescenti: "istruzioni per l'uso"

Aiuto sto crescendo!




Aiuto, sto crescendo!

“…E sto crescendo da solo…”, si potrebbe aggiungere al titolo del testo presentato alla Casa della Psicologia il 7 Febbraio 2017, all’interno della rassegna “gli strumenti della psicologia per la prevenzione, la riabilitazione e il sociale”.
Il giornalista Carlo Verdelli nota, dal suo osservatorio di cronista della vita quotidiana, che comprende la fabbrica, i luoghi della contrattazione sindacale, la politica, ma anche – come padre e cittadino – i luoghi in cui crescono le nuove generazioni, che se si può pensare ad una “cifra” della contemporaneità, questa potrebbe essere la solitudine.
I bambini crescono da soli, in un mondo sempre più indaffarato, crescono a loro volta indaffarati, come piccoli manager, fra corsi di inglese e di Karate, fra corsi di musica e di teatro. Una solitudine che è spesso appesantita da un rumore di fondo, un’attività frenetica quanto privata da una vera disponibilità relazionale. Una solitudine che è l’effetto, il riscontro potremmo dire, dello smarrimento proprio del mondo adulto, una solitudine affollata di gadget ma anche di presenze, che tuttavia sono smarrite e non in grado di offrire modelli, di indicare un futuro. I “post bambini”, e in generale gli adolescenti nati a cavallo del nuovo millennio, sanno che la loro vita si sviluppa per lo più in orizzontale, è una vita di oggetti, di apparenti sicurezze, che cela un’assenza radicale di futuro, di quel futuro verticale, che è ancora presente, fantasmaticamente, come ideale, per le generazioni precedenti, ma che non è più disponibile per loro. “I bambini sanno che crescono, studiano, vanno all’università, ma dopo l’adolescenza, qualcosa sembra non più pensabile. Respirano questa precarietà, questa nebbia, la sentono attorno a loro”.
Certo non è un sapere conscio, non è un pensiero, è piuttosto un’atmosfera, un “bagno” , nel quale sono immersi bambini, adolescenti e adulti, tutti  condannati a rassomigliare a questo “adolescente eterno” che sembra aver catturato l’immaginario collettivo.
Da dentro questo “bagno”, di incertezza, solitudine e precarietà esistenziale, la curatrice di “Aiuto sto crescendo” Pamela Pace e gli autori Aurora Matroleo, Marta Bottiani, Graziano Senzolo, Laura dalla Ragione e molti altri, ci permettono di esplorare i mutamenti antropologici che queste nuove coordinate dell’Altro sociale comportano, nei corpi stessi, nelle biologie, dei soggetti preadolescenti.
Quello che accade, nelle patologie e nei disturbi dell’alimentazione della pubertà, è che il corpo, il soggetto e l’Altro, si disarticolano, faticano a trovare un accordo, una sintonia, un impasto.
L’adolescenza sembra diventata l’unica certezza, l’unico momento del ciclo di vita che la società post-capitalistica, liquida e globalizzata, è in grado di proporre, come modello, come momento evolutivo, di crisi, di passaggio, che diviene statico, impossibile, incompiuto.
Così, ad una pubertà sempre più precoce, anche sul piano strettamente biologico (il menarca compare in età sempre più infantili, 8 anni e mezzo, 9 anni); ad una sessualità che viene esplorata fra coetanei sempre più precocemente; fa riscontro una immaturità sociale, una dipendenza dall’Altro familiare, che si estende ormai ben oltre i limiti dell’adolescenza, per varcare le soglie dell’età adulta. La dipendenza da un Altro familiare che vive il bambino come parte del proprio corpo, in una dimensione narcisistica, e che spesso fatica a favorire processi di separazione, producono fenomeni di profondo conflitto inconscio, fra spinte evolutive e regressive.
Giunti sulla soglia della società civile, spinti dalle trasformazioni corporee a fare i conti con lo specchio e con il mutamento radicale dello sguardo dell’Altro, spesso questi post-bambini, non ancora adolescenti e non  in grado di acquisire un’identità sessuale, incapaci di dare una risposta soggettiva alla tempesta ormonale che li travolge, finiscono per ricorrere al disturbo alimentare, come modalità estrema, extrema ratio, per arrestare lo sviluppo in corso, fermare l’orologio, pietrificarsi sulla soglia.
La psicoanalisi ci insegna che non esiste una causalità lineare, e che ciò che si riattualizza nella pubertà, ha a che vedere con i fallimenti, con le fatiche del processo di soggettivazione che si svolge nella primissima infanzia.
E’ la risposta soggettiva, unica, di questi soggetti bambini alle mutazioni del corpo, e al suo essere immerso nella dimensione relazionale, che permette di decodificare il messaggio, di decriptare l’appello di questi soggetti, sulla soglia dell’adolescenza.
Sono spesso i genitori a dare l’allarme, peraltro, a portare la loro sofferenza, la loro impotenza, il loro allarme, il loro stupore. Si lamentano di quello che accade nel cuore della quotidianità, a tavola, nel bagno. Assistono impotenti e sconcertati ai rituali di eliminazione del cibo, alle torture inflitte al corpo. Sono loro a dar voce ad una sofferenza difficile da descrivere, che si manifesta nel corpo del loro figlio o figlia, e che non riesce a trovare parola.
Il testo esplora le varie declinazioni di questa disarticolazione, di questo scollamento, fra corpo, soggetto e Altro, illustrando come l’équipe interdisciplinare di Pollicino sia riuscita, nel corso degli anni, a rispondere a questa complessità offrendo un ascolto corale, in grado di far suonare tutti gli strumenti e tutte le discipline, per permettere al sintomo singolare del soggetto, di trovare il suo posto e di costruire la sua propria soluzione.
Endocrinologi, pediatri, ginecologi, nutrizionisti, psicologi, educatori, servizi ambulatoriali e ospedalieri, ogni strumento è messo a disposizione, piegato, messo al servizio di un reciproco ascolto, rispettoso e profondo che mette al centro la parola dei pazienti e dei familiari, il loro sapere.
L’intervento multidisciplinare testimoniato da “Pollicino” non ci offre un sapere “pret à porter”, ma un modo originale di pensare ciascuna amenorrea, ciascuna obesità, e di ripensare le sindromi e i quadri patologici nella loro possibile articolazione soggettiva. Così, se è vero che esiste, anche in medicina, una assodata concatenazione causale fra calo ponderale importante e scomparsa del ciclo mestruale, così come possiamo dire in linea di massima che può esserci una correlazione, fra abuso sessuale e obesità infantile, non esistono ricette, e tanto meno facili reversibilità. A volte, il ciclo permane molto a lungo, nonostante importanti cali ponderali, mentre altre volte, tarda a ricomparire, anche dopo anni di recupero di un’alimentazione corretta. Lo scollamento, il gap, fra corpo, risposta soggettiva e risintonizzazione con l’Altro, ci mostrano, caso per caso, le zone intermedie, i nodi, le aree grigie in cui si situa spesso il trauma, l’impossibile a dirsi, il “non saputo”, che è quel sapere custodito nel corpo e nei suoi misteriosi equilibri endocrinologici e biochimici. Ed è solo prendendo per buone, ascoltando queste aree grigie, accogliendole, senza volerle rimuovere e sopprimere, che è possibile predisporre, preparare per il soggetto, quel terreno, quello sfondo, entro cui egli stesso saprà ritrovare la sua strategia di risposta. Il passaggio può essere quello di un ricordo recuperato, di una paura affrontata, di una rivendicazione antica, ma non ancora mentalizzata, e per ottenere questi risultati, si diventa in grado di aspettare, di sospendere una risposta farmacologica, di accogliere una paura o una resistenza. Pamela Pace e Aurora Mastroleo hanno mostrato come ogni intervento, ogni risposta, anche sul piano concreto (ospedalizzazioni e interventi medici, spesso comunque indispensabili e ineludibili), non possa prescindere da un’attenta valutazione e ascolto di quello che il soggetto intende farsene. Accogliere, quindi, la domanda di cura, l’ansia del genitore, passando attraverso l’inclusione del corpo sofferente del fanciullo “sulla soglia” dell’età puberale, valorizzare il sapere di tutti dentro l’équipe multidisciplinare degli specialisti, costituisce la strategia, ma più ancora la prospettiva etica, dello staff di Pollicino Onlus. Un sapere mai saturo, che si costruisce e si decostruisce ogni volta che una nuova famiglia suona il campanello, dal momento che quella richiesta di aiuto contiene in sé la risorsa, preziosa, di un discorso che può essere riaperto.