Gli Hikikomori

Hikikomori è un termine giapponese che significa letteralmente "stare in disparte" e viene utilizzato per indicare giovanissimi ed adolescenti che "decidono" di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi (mesi o addirittura anni), chiusi nella propria camera da letto, molto spesso collegati ad Internet, e che si rifiutano di parlare e relazionarsi con genitori e fratelli.


Associazione Hikikomori Italia
All'inizio il fenomeno è stato osservato e studiato in Giappone, ma è diffuso anche in altri paesi asiatici e nel resto del mondo occidentale. Da alcuni anni in Francia, dopo che erano stati segnalati alcuni preoccupanti casi di giovani di età tra i 15 ed i 25 anni, con scarsa o nulla "vita sociale", le autorità sanitarie hanno affidato a loro ricercatori, in collaborazione con esperti giapponesi, uno studio per comprendere l'entità del fenomeno e valutare come intervenire. Alcune stime indicano in alcune decine di migliaia il numero di Hikikomori francesi, con un trend in crescita negli anni recenti.
E in Italia? Alcune stime del 2018 indicano centomila tra giovani e giovanissimi interessati da questo fenomeno, ma la cifra potrebbe essere sottostimata. Questo fenomeno viene studiato con attenzione da parte di Associazioni come Hikikomori Italia, Associazione nazionale di informazione e supporto sul tema dell'isolamento sociale giovanile. Un primo distinguo importante è non confondere il ritiro sociale e psicologico dell'hikikomori con la dipendenza da Internet. Nel senso che l'isolamento volontario del vero Hikikomori è alla base della "scelta" radicale di chiudersi in un piccolo spazio protetto e confinato per potere vivere quella che ritiene la sua idea di vita. L'uso o abuso di Internet è solo secondario e può incentivare tale scelta ma non è la causa del "ritiro sociale" del giovane.
E' la condizione di fragilità emotivo-sociale del giovane o dell'adolescente l'innesco del fenomeno dell'Hikikomori, e non Internet. Paradossalmente Internet permette ad alcuni Hikikomori di non essere davvero del tutto isolati dal mondo. Senza confondere realtà "vera" da quella virtuale certo, però una qualche modalità di comunicazione con il mondo esterno può avvenire anche tramite i "Social".



L'esperimento della bambola Bobo

Albert Bandura è uno Psicologo canadese noto per il suo lavoro sulle teorie dell'apprendimento sociale specie nel suo impatto sulla teoria sociale cognitiva. L'esperimento che lo ha reso celebre si è svolto nel 1961 alla Stanford University, dove ha insegnato per molti anni, sino a divenire Presidente dell'American Psychological Association. Bandura stava svolgendo ricerche sull'aggressività e ideò un esperimento "sociale"con il coinvolgimento di alcuni bambini in età pre-scolare. Negli esperimenti erano coinvolti bambini, 36 maschi e 36 femmine della scuola materna dell’Università di Stanford, di età compresa tra i 3 e i 6 anni.
psicologiatorino.org
L'esperimento è conosciuto soprattutto per la bambola Bobo, un pupazzo gonfiabile che mantiene  da solo la posizione eretta anche dopo essere stato colpito. Ricordate Ercolino sempre in piedi, pupazzo di plastica gonfiabile della pubblicità Galbani...?
  • In un primo gruppo di 10 bambini Bandura inserì uno dei suoi collaboratori che si mostrò aggressivo nei confronti del pupazzo Bobo. L'adulto picchiava il pupazzo gridando: «Picchialo sul naso!» e «Pum pum!».
  • In un secondo gruppo di 10 bambini, gruppo di confronto, un altro collaboratore giocava con le costruzioni di legno senza manifestare alcun tipo di aggressività nei confronti del pupazzo Bobo.
  • Infine, il terzo gruppo, quello di controllo, era formato da 10 bambini che giocavano da soli e liberamente, senza alcun adulto con funzione di modello.
Questa era la prima fase dell'esperimento, successivamente i bambini venivano condotti in una stanza nella quale vi erano giochi neutri (peluche, palline, automobiline) e giochi aggressivi (fucili, martelli, Bobo, una palla con una faccia dipinta legata ad una corda).
Bandura poté verificare che i bambini che avevano osservato l'adulto picchiare Bobo manifestavano un'incidenza maggiore di comportamenti aggressivi, sia rispetto a quelli che avevano visto il modello pacifico sia rispetto a quelli che avevano giocato da soli. Infatti ben 8 bambini su 10, che avevano visto picchiare Bobo, a loro volta colpivano il pupazzo con rabbia ed aggressività. I bambini degli altri due gruppi invece giocavano tranquilli senza manifestare comportamenti aggressivi verso il pupazzo.
Per Bandura ciò rappresentava la conferma che il comportamento aggressivo dei bambini può essere modellato, cioè appreso per imitazione.
Le ricerche di Bandura sono state più volte utilizzate anche a sostegno della tesi, ancora attuale, secondo la quale le scene di violenza mostrate in TV possono produrre comportamenti imitativi da parte dei ragazzi.
Molti ricorderanno anni fa le tragiche ripetizioni di lanci di pietre sulle auto, dai cavalcavia delle autostrade. Lanci di pietre talmente diffusi in senso imitativo in tutta la Penisola da parte di adolescenti e giovanissimi che avevano costretto i media, in accordo con il Governo, a non parlarne più su giornali e televisione per ridurre drasticamente la frequenza di tali atti criminali sovente mortali. Da allora tutti i cavalcavia delle autostrade sono stati numerati per permettere di risalire a dove erano avvenuti i lanci di pietre! Esperimento di Psicologia sociale tragicamente veritiero che non fa che confermare la teoria di Bandura che: 

"...Le scene di violenza mostrate in TV (o eventi come il lancio di pietre sulle auto) possono produrre comportamenti imitativi da parte dei ragazzi..."

Facebook, maneggiare con cura...



Nel gennaio del 2012 Facebook ha condotto un esperimento all'insaputa di circa 700.000 mila utenti: molti di loro sono stati esposti a "contenuti emotivi" delle pagine che osservavano di tipo fortemente positivo, altri a contenuti molto negativi.
A seconda dei contenuti osservati, le persone postavano commenti positivi o negativi come reazione a quanto letto. Era evidente un fenomeno ben conosciuto in psicologia come "contagio emotivo".
Quando venne pubblicato il risultato dello studio vi furono critiche e pesanti reazioni per tale esperimento, peraltro legale, su temi così delicati come l'etica e la privacy on-line.
Forse non tutti sanno che l'algoritmo sottostante a Facebook e che ci propone quotidianamente gli aggiornamenti, che vediamo scorrere nella nostra pagina si basa già su una serie di principi, totalmente automatizzati, stabiliti per dare priorità a uno o all’altro contenuto in base agli amici con cui entriamo più spesso in contatto o alla popolarità di uno stato o di una foto. Come dire, l'algoritmo ci indirizza già verso determinati contenuti, pensati per noi! Facebook decide cosa farci vedere, mentre noi crediamo che si tratti di notizie e profili scelti in modo imparziale.
Nel caso dell'esperimento i ricercatori di Facebook hanno utilizzato il software Linguistic Inquiry and Word Count, ed i risultati hanno mostrato come la condivisione di emozioni positive ci porti ad esprimerne di altrettanto ottimistiche mentre vedere amici e conoscenti di cattivo umore ci condiziona in questo senso. 
Da notare che alla sottoscrizione di Facebook noi tutti accettiamo le condizioni di questo servizio e le relative profilazioni. Quindi nulla di illegale, ma credo che ben pochi di noi siano consapevoli di quello che sottoscrivono: poi gli algoritmi che diavolo sono? Mi risponda chi lo sa e ne conosce l'utilizzo. Facebook cambia il suo algoritmo quando e come vuole senza doverci chiedere ulteriore assenso tacito o esplicito.
E' anche vero che nel 2012 oltre 340.000 persone si sono recate a votare in elezioni del Congresso Americano dopo avere letto commenti di amici su Facebook, orientati in un senso o nell'altro (Democratici o Repubblicani) e qui non si parla di scegliere una bevanda o un hamburger ma si tratta di "comunicazione politica".
Va detto che il gruppo di ingegneri di Facebook ha lavorato in collaborazione con ricercatori delle Università della California e della Cornell, stupiti per le reazioni della stampa e dei media in generale per tale "ricerca". Gli ingegneri di Facebook hanno manipolato l'algoritmo per orientare le reazioni e studiare l'effetto sugli ignari lettori, senza chieder alcun permesso o scusarsi poi. Ad onore del vero uno degli ingegneri, tale Adam Kramer, membro della squadra di analisi dei dati di Facebook e fra gli autori dello studio ha detto che lo scopo della ricerca era rendere migliore il servizio e si è mostrato:  "... Dispiaciuto per l'ansia causata nei lettori". Come dire che lo studio è stato fatto per i lettori e non c'è motivo di non credere alla buona fede di Facebook.

E voi cosa ne pensate...?

Aggiornamento  del 5 settembre: su un server ad accesso libero sono stati trovati i dati di 419 milioni di utenti Facebook, account e numeri di telefono. Facebook, interpellata, ha minimizzato la cosa e assicurato che ora tutto è sotto controllo e non accadrà più.