Photo: Corriere Romagna |
Prendo spunto dalle parole di Marco Casa che, giustamente, ci ricorda che siamo bersagliati da una marea di informazioni da parte di addetti ai lavori: medici, virologi, epidemiologi, veterinari (che la sanno lunga sui coronavirus), per finire ai politici di ogni "ordine e grado". Politici che, a mio avviso, hanno fatto più danni che altro, taluni per ingenuità, altri solo per mettersi in mostra...
Di fatto quando avvengono fenomeni di grande portata come gli attacchi terroristici, i terremoti o le epidemie, si parla di isteria collettiva, psicosi, reazioni abnormi ed ingiustificate. Vero è che alla sovrabbondanza di "informazioni", dibattiti, approfondimenti, notizie aggiornate ogni minuto, non corrisponde dal punto di vista emotivo una altrettanto netta consapevolezza e percezione del rischio nei confronti dell'evento che ci colpisce.
Possiamo sapere tutto sui numeri del coronavirus nel mondo, seguire telegiornali di vari paesi ma... ritrovarci ad essere ancora più spaventati ed angosciati.
Questo perché la percezione oggettiva di un evento non coincide quasi mai con la percezione soggettiva, quindi emotiva dell'evento stesso.
Classico esempio è dato dal volare: tutti sappiamo (ed i numeri lo confermano) che è molto più pericoloso viaggiare in auto che in aereo, però moltissime persone viaggiano in auto e mai salirebbero su un aereo.
Il dato oggettivo è come un disegno in bianco e nero, lo vediamo bene però sembra bi-dimensionale. Lo stesso disegno a colori acquista profondità di campo e spessore ed è ciò che percepiamo tramite le nostre emozioni.
Nella nostra mente abbiamo depositate "immagini" che però sono strettamente connesse a delle emozioni relative, ad esempio, alle nostre esperienze e ad episodi del passato vissuti in prima persona o riportati da altri. La stretta connessione immagine-emozione ci serve come archivio per tentare di leggere la realtà che dobbiamo affrontare, talvolta in modo improvviso e non atteso.
Tutto ciò vale anche per la percezione di un qualunque rischio, dal volare, viaggiare in auto, fare del paracadutismo, buttarsi dal ponte con l'elastico.
Ad esempio: correre in auto o moto è rischiosissimo, ma è associato ad adrenalina pura, una forma di sfida temeraria dell'uomo e quindi connotata positivamente.
Il virus, parola latina che significa veleno, non è connotato positivamente, di virus si muore e poi non si vede che diavolo è. Veniamo martellati dal fatto che l'influenza ha ucciso ed uccide molte più persone del coronavirus, dati noti e incontrovertibili ma... Attenzione alle parole: ci si ammala di influenza ma si viene contagiati dal virus. Ammalarsi è una cosa, essere contagiati ci appare molto più pericoloso ed angoscioso. Sempre di virus si tratta ma la percezione del rischio non è la stessa.
Pensate anche al potere dei mass-media, più parlano di un evento più lo percepiamo attuale, incombente e, nel caso del coronavirus, angoscioso e che ci vede quasi impotenti.
Esperienza personale: mercoledi scorso sono stato a Ventimiglia per delle pratiche tra banca e posta. Treno in arrivo a Ventimiglia quasi deserto ed i negozi, di solito affollati dai nostri amici francesi, quasi vuoti. Una desolazione. Ad un certo punto in una stradina vedo un'assembramento di persone, incuriosito vado a vedere. Ebbene la coda di francesi sin dalla strada era per la tabaccheria, per l'acquisto di stecche di sigarette...
La voglia di fumare è tale che il tabacco è più forte della paura del coronavirus!
In conclusione: inutile fare gli spavaldi e negare il rischio, occorre prendere semplici precauzioni, seguire con attenzione l'evolversi della situazione ed agire di conseguenza. Ci sentiamo spesso onnipotenti psicologicamente e confidiamo nella scienza e nella tecnica. Ebbene questi eventi ci fanno sentire piccoli e indifesi di fronte a qualcosa che non vediamo e sentiamo. Un attacco al nostro narcisismo che però potrebbe aiutarci a ritrovare una sana umiltà ed umanità.
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