Julie ed il cibo-veleno

  

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Julie
conduce la sua vita con un controllo totale su ciò che fa ed ovviamente su ciò che mangia.
E’ una trentenne molto magra che piace ai ragazzi (sue parole), sportiva e che ama vestirsi bene. Ha studiato contabilità ed al momento di scegliere se continuare gli studi o lavorare si concede un anno di libertà per viaggiare lontano, in Estremo Oriente, che è il suo sogno.
Viaggia quasi sempre da sola, occasionalmente con altre persone conosciute nelle tappe intermedie del suo vagabondare. Spesso prende dei rischi in città o in zone non particolarmente sicure ma non ha paura, sente di sapersela cavare.
La vera sfida, per lei, è il mangiare: assume pochissimi alimenti, sempre gli stessi e nel viaggiare non sempre riesce a dare seguito al suo controllo. Perde qualche chilo nel corso del viaggio ma le difficoltà del cibo sono compensate dei meravigliosi posti che visita.
Al ritorno a casa sente che per lei è meglio lavorare che continuare a studiare e viene assunta da un commercialista della sua cittadina.
Julie è precisa, ordinata e affidabile, in breve tempo è apprezzata dal titolare e dalle colleghe più anziane, e diviene la mascotte del piccolo gruppo di collaboratori.
Ha sempre avuto dei ragazzi ma non si sente pronta per una “storia seria” né per una famiglia, Per Julie famiglia coincide con matrimonio e figli ma lei non vuole sposarsi e, anche se le piacciono i bambini con cui gioca spesso, non si sente “pronta”.
Julie è figlia unica, vive con i suoi genitori e la loro relazione è buona, si confida spesso con la mamma ed il papà è adorabile, cortese ed attento ai bisogni della figliola.
Sono una famiglia molto unita ben inserita nella comunità del paese: il padre è benefattore alla chiesa, la mamma aiuta i bambini a fare i compiti al doposcuola della parrocchia e Julie canta nel coro cittadino.
L’unica preoccupazione dei genitori è il peso di Julie, sempre magra e filiforme. Hanno tentato per anni di farla mangiare soprattutto variando gli alimenti ma invano. Ora si sono arresi all’idea che la loro figliola mangi solo alcune verdure ed un pò di riso in bianco ogni giorno senza mai variare. Non solo, prepara lei stessa il cibo, lo cucina e mangia separatamente dai genitori con la scusa che lei va piano e loro troppo in fretta !
Beve solo acqua di una marca particolare di cui ha una riserva enorme per il timore di restare senza, dato che l’acqua del rubinetto è per lei “inquinata”.
Se Julie non riesce a seguire il suo “rito” del cibo è un disastro, diviene aggressiva sino a che torna ad essere tutto sotto il suo controllo.
In ufficio mangia il cibo che si porta da casa e mai con le colleghe, loro sanno del suo “rito” e la lasciano stare, dato che per il resto è una simpatica e cortese ragazza.
Per andare in ufficio Julie usa il suo scooter ed è sempre prudente ma un giorno viene investita da un’auto che non le da la precedenza ad un incrocio. Lo scontro è piuttosto grave, Julie si frattura il polso e la caviglia destra, oltre ad alcune ferite al viso procurate dalla rottura del parabrezza dello scooter.
Viene soccorsa e portata all’ospedale della cittadina sotto choc, ovviamente, e potete ben immaginare l’angoscia dei genitori accorsi immediatamente dalla loro figliola.
Ma più che le ferite del corpo Julie soffre per il dovere mangiare ciò che l’ospedale prepara per tutti i pazienti… Chiede di avere il “suo cibo” ma non le viene concesso, anzi litiga con le infermiere, urla che DEVE MANGIARE le sue cose e non certo quelle dell’ospedale!
Risultato: viene chiamato per consulto lo psichiatra che la imbottisce di farmaci (tramite iniezioni) così che non possa rifiutare le pillole.
Julie è disperata, non mangia per giorni, urla con le ultime forze che ha ma invano.
Il ricovero si prolunga per via delle ferite piuttosto serie e Julie perde molto peso, nonostante gli inviti dapprima cortesi poi decisi per mangiare qualcosa. I genitori si offrono di preparare il “suo cibo” e portarlo a lei ma l’ospedale rifiuta.
Appena Julie è stabilizzata dal punto di vista ortopedico, si ritrova in psichiatria dato che ora i medici sono molto preoccupati per la sua “anoressia”.
Oltre ai medici, con cui ha scontri verbali, vede anche la psicologa che comprende bene il tormento e l’angoscia di Julie per il cibo ed è proprio lei che le propone, appena potrà uscire, di contattare Soremax per il suo problema “alimentare”.
I genitori fanno carte false per farla uscire appena possibile dal reparto psichiatrico ed alla fine riescono nell’intento, speranzosi che Soremax possa fare davvero qualcosa per la figliola.
Quando la incontriamo zoppica vistosamente ed ha una cicatrice sul viso, è molto arrabbiata e decisamente sottopeso.
All’inizio valorizziamo il suo “rito alimentare” fatto di verdure e riso in bianco, dato che per lei è al momento intoccabile. Al contempo però la interroghiamo sul perché non possa mangiare altri alimenti e bere solo la sua acqua. La risposta è forte e chiara: perché sono avvelenati !
Colpo di scena, Julie considera le verdure e il riso in bianco che lei prepara l’unico cibo non avvelenato che può assumere. Quindi ha senso, dal suo punto di vista, mangia ciò che non le fa del male, non la intossica ed avvelena.
Il lavoro di Soremax consta di due “aspetti” che si integrano a vicenda: la parte psicologica nelle sedute individuali o di gruppo per dare parola a Julie e ricostruire per quanto possibile la genesi della sua profonda sofferenza.
Il secondo aspetto consiste nell’avvicinare la persona al cibo in una ritrovata esperienza. Il pensiero di fondo è molto semplice ma efficace: la stragrande maggioranza delle persone che soffrono di “disturbi alimentari” vive il cibo come minaccia, conflitto e/o veleno nei casi più seri.
È basilare accompagnare la persona a “scoprire” colori, sapori, odori e consistenza dei cibi, senza alcuna forzatura a mangiarli. È una prospettiva assai diversa in cui il peso, le calorie, il grasso e gli zuccheri non contano per dare spazio alla novità del conoscere gli alimenti per riscoprire il piacere di nutrirsi. Facile ovviamente a dirsi, soprattutto per persone che per anni hanno combattuto con il cibo vissuto minacciosamente, ma un sentiero di cura che per la nostra esperienza ha dato ottimi risultati. Va anche detto che tale percorso che richiede del tempo e molta pazienza si svolge senza mai giudicare le persone o spingerle a “mangiare”…
Molto utile è anche coinvolgere le persone nella scelta ed acquisto del mangiare, in un
accompagnamento rispettoso ed empatico di cui le persone hanno un bisogno estremo.
Questo nostro “protocollo” ha consentito a Julie dolcemente di accettare di assaggiare piccoli ingredienti da aggiungere al “suo cibo standard” senza alcun obbligo di mangiare il tutto.
Questa libertà consente a Julie di “tenere ancora sotto controllo” il cibo ma ritrovare (o trovare) gusti e sapori sconosciuti forse da troppi anni. Il test PCS che proponiamo alle persone ci consente di meglio comprendere quali alimenti o ingredienti sono vissuti come “minacciosi”, pericolosi ed impossibili a mangiare e proporre di conseguenza “assaggi” per tentare di rompere il circolo vizioso in cui la persona si è imprigionata. È un lavoro artigianale e personalizzato e non potrebbe essere diversamente dato che ogni persona ha una sua storia, dei nodi emotivi irrisolti, dei bisogni e delle paure.
Julie sta sperimentando il nostro protocollo, senza correre ma con quel pò di curiosità che è un potente motore di trasformazione…

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